“[…] non è una caccia. È una danza. E ogni tanto in questa sala da ballo spengono le luci.
Ma danzeremo lo stesso, voi e io. Anche nel buio. Specialmente nel buio.
Posso invitarvi?”Danse Macabre
di Stephen King
È mezzanotte, e solo il bagliore dei lampi spezza l’oscurità della mia stanza, mentre cerco le parole giuste per cominciare.
Credo che il cielo ruggisse anche a Villa Diodati, quella notte di giugno del 1816, ormai due secoli fa. Lord Byron, eccentrico poeta britannico, aveva invitato nella sua tenuta svizzera l’amico e collega Percy Bysshe Shelley, assieme alla di lui moglie Mary. E me li immagino lì, seduti su sfarzose poltrone e circondati da lampade a petrolio, che dibattono di lettere e politica assieme a John William Polidori – il medico personale di Byron.
Quando a un certo punto qualcuno, forse proprio Polidori, tira fuori un’antologia tedesca di racconti del terrore, e inizia a leggerla ad alta voce. Sono dozzinali storie di fantasmi, eppure, forse per l’eco delle parole tra le mura della villa, forse per il crepitio dei rami contro le finestre, il quartetto ne resta ammaliato. È l’adrenalina, infine, a muovere la sfida di Lord Byron: ognuno degli invitati si cimenterà nella scrittura di un racconto dell’orrore, e solo l’elaborato più spaventoso potrà trionfare.
Nessuno, in quella stanza, poteva immaginare che quella competizione sarebbe divenuta leggenda, che da essa sarebbe nato il primo vampiro della letteratura – non è ancora chiaro se per mano di Polidori o dello stesso Byron – e il Frankenstein di Mary Shelley.
Noi non siamo a Villa Diodati, non siamo letterati, non siamo nel 1800. Ma stanotte piove, e promette di non smettere presto. C’è tempo per una storia dell’orrore, la storia dietro Bloodborne.
Vogliamo cominciare?
Bloodborne è un action rpg giapponese sviluppato da FromSoftware e pubblicato in esclusiva PlayStation 4 nel marzo del 2015. L’opera rappresentò un’uscita davvero importante per il videogioco d’autore: a firmare i lavori fu infatti Hidetaka Miyazaki, creativo che aveva già dato prova di fortissima ispirazione alla regia di Demon’s Souls prima e di Dark Souls poi.
Il cacciatore protagonista del gioco si risveglia, privo di memoria, a Yharnam, città vittoriana ormai ridotta all’ombra di se stessa da una piaga che trasforma gli uomini in belve spietate e prive di senno. Colpevole della diffusione del morbo è la cosiddetta Chiesa della Cura, un ente religioso che, alla ricerca di potere, ha distribuito al popolo campioni di sangue dalle eccezionali proprietà terapeutiche e dopanti, mancando però di far noti ai cittadini i possibili effetti collaterali della trasfusione: l’assuefazione e, nel peggiore dei casi, la mutazione fisica. Nel tentativo di ritrovare la perduta identità, il nostro protagonista sfrutterà il potere del sangue per farsi strada tra le bestie, fino a svelare il mistero della malattia, e a confrontarsi con entità che superano l’umana comprensione.
L’immaginario del titolo riflette con evidenza quello di Howard Phillips Lovecraft, scrittore statunitense del XX secolo, ma penso che tanto sia già stato detto sul nesso che lega la bibliografia di quest’autore alle creature cosmiche del videogioco di FromSoftware. Dunque parleremo d’altro, scaveremo più a fondo. Bloodborne, infatti, ci dà l’occasione di approfondire l’intero filone del romanzo horror – o gotico – di cui Lovecraft è illustre, ma non unico, esponente.
La letteratura gotica nacque al tramonto del Settecento, grazie al trapianto dell’elemento soprannaturale nelle narrazioni cavalleresche. Il capostipite del genere è considerato Horace Walpole, un autore londinese: il suo romanzo, Il Castello di Otranto, diede nuova declinazione alle storie d’amore e nobiltà in voga in quegli anni, ambientando una vicenda di conflitto politico e di eredità principesca all’interno di un maniero infestato. Questa novità, unita al fatto che Walpole spacciò la prima tiratura dell’opera come la traduzione di un autentico manoscritto italiano, terrorizzò i lettori e al tempo stesso li suggestionò tanto da stimolare, negli anni successivi, una ricca produzione letteraria.
Il genere continuò infatti a evolversi, tra il XVIII e il XIX secolo, grazie ad autori del calibro di Ann Radcliffe, Matthew Gregory Lewis, Charles Robert Maturin e Henry James. Con Edgar Allan Poe, famoso poeta americano, il fenomeno si fece così imponente da infiammare persino le discussioni accademiche: la letteratura dell’orrore s’era ormai svelata come allegoria delle ansie radicate nella stessa struttura della società, perché dietro ogni mostro immaginario, di solito, si nasconde un disagio reale.
In Danse Macabre, il suo saggio dedicato al genere, Stephen King si dice convinto che il cuore pulsante della narrativa gotica sia rappresentato da tre grandi opere, tre romanzi ottocenteschi che sono riusciti a parlare del sociale attraverso la paura, e sono divenuti immortali. Hidetaka Miyazaki deve averli letti, perché la mitologia di Bloodborne non è che una loro brillante rielaborazione.
La prima di queste tre colonne portanti è Frankenstein o Il moderno Prometeo, concepito da Mary Shelley in risposta alla sfida di Lord Byron, quella notte del 1816, a Villa Diodati. Il romanzo racconta la storia del dottor Frankenstein, perfetto archetipo di “scienziato pazzo”, e dell’orrenda creatura da lui generata nel tentativo di comprendere il mistero della vita. Rifiutata dal mondo e dal suo creatore a causa delle proprie repellenti sembianze, la Cosa Senza Nome, come la definisce King, sceglie di sfogare il proprio risentimento nell’omicidio: Shelley ci parla dunque della paura del diverso, e di come sia la stessa società a creare i suoi mostri, negando loro spazio e identità.
L’ambizione del dottor Frankenstein si ritrova, in Bloodborne, negli studiosi di Byrgenwerth e nella loro ricerca sul sangue delle entità cosmiche chiamate Grandi Esseri. Sono proprio questi accademici, infatti, a fondare la Chiesa della Cura e a somministrare quel sangue maledetto al popolo di Yharnam, allo scopo di generare una razza superiore, di avvicinarsi a dio. Anche qui, come nella storia di Mary Shelley, è l’ossessione umana a dar vita al mostro, ma c’è di più: alla stregua del dottor Frankenstein, la Chiesa della Cura rinnega le proprie terribili creazioni, tanto da istituire un ordine – quello dei suoi esperimenti riusciti, i cacciatori – al solo scopo di sterminarle, perché pericolose e ormai inutili.
La seconda opera da prendere in considerazione è Lo Strano Caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde, racconto scritto nel 1886 da Robert Louis Stevenson. Anche in questa vicenda l’orrore parte da un esperimento: Jekyll, affascinato dalla dualità dell’uomo, addiviene a un siero capace di far emergere il lato istintivo dell’individuo, solitamente tenuto a bada dalla razionalità. I risultati sono agghiaccianti, perché, una volta testata la pozione su di sé, il medico cambia aspetto e indole, e viene schiacciato dal desiderio di fare del male. Il nome che Stevenson dà a quest’entità è Hyde, ma a ben guardare ci troviamo davanti all’antenato di un altro importante mostro letterario, il licantropo.
Sotto la lente di ingrandimento qui è la paura dei propri impulsi, un probabile lascito dell’ostentato perbenismo borghese e dell’era industriale britannica, che aveva ridotto il lavoratore a mero esecutore, lo aveva spersonalizzato.
Nel gotico di FromSoftware sono gli stessi cacciatori a incarnare il dualismo dell’uomo, poiché la maledizione del sangue potrebbe avere il sopravvento sul loro raziocinio da un momento all’altro. Se proprio vogliamo trovare un Dottor Jekyll – e un Signor Hyde – però, mi sembra che il candidato ideale sia Padre Gascoigne, il primo vero boss del gioco: quando veniamo in contatto con questo cacciatore lo troviamo consumato dalla smania di uccidere, ma la sua quest-line ci racconta come un tempo sia stato un padre e un marito amorevole, e come, appena prima del tracollo psicologico, si sia allontanato per non far del male alla propria famiglia. Scopriamo che è stato vano, che la moglie lo ha inseguito, e che lui, in uno spasmo di rabbia, l’ha uccisa. La bestia lo ha dominato, ma l’uomo ancora reagisce al suono nostalgico di un carillon, ricordo che condivideva con l’amata.
Giungiamo così al terzo e ultimo romanzo del nostro trittico. In Dracula, storia epistolare del 1897, l’autore irlandese Bram Stoker ci racconta dello scompiglio portato a Londra da una creatura della notte che si nutre di sangue umano: un vampiro.
Come abbiamo accennato in apertura, a livello concettuale la figura del vampiro nasce a Villa Diodati quasi un secolo prima che Stoker scrivesse il suo capolavoro. Se tuttavia è il Conte Dracula a essere passato alla storia come il succhia-sangue letterario per eccellenza, si deve alla forza espressiva del personaggio. In maniera poi non così sottile, evidenzia King, il vampiro di Stoker fotografa la paura della sessualità, causata dal fanatismo religioso dell’epoca. Nella vicenda, infatti, Dracula si nutre solo di sangue di donna e i morsi con cui perpetra la sua violenza sono descritti come vere e proprie aggressioni sessuali.
Bloodborne si ispira al romanzo di Bram Stoker in misura maggiore rispetto a quanto faccia con quelli di Shelley e di Stevenson, e possiamo riscontrarlo nel ruolo centrale del sangue, nel terrore che spinge i cittadini benestanti di Yharnam a rinchiudersi in casa – che ci ricorda quello delle popolazioni locali della Transilvania descritte in Dracula – e nel castello di Cainhurst, vicinissimo in architettura al maniero del leggendario Conte. Proprio a Cainhurst, peraltro, dimora l’immortale Annalise, la regina di un’organizzazione aristocratica, quella dei Vilebood, alla costante ricerca del sangue dei cacciatori. La sua ossessione, seppur re-immaginata in coerenza con il differente contesto narrativo del gioco, è la stessa di Dracula.
È singolare, non trovate? Frankenstein, Jekyll e Hyde, Dracula… Sono storie nate per raccontare le disfunzioni sociali inglesi del XIX secolo, inscindibili all’apparenza dal loro bacino culturale. Eppure, nonostante la distanza storica e geografica, riescono ad attrarre persino produzioni orientali come Bloodborne.
C’è un motivo, io credo, che va oltre la semplice suggestione estetica.
Oggi abbiamo discusso della paura del diverso, di quella dell’atto sessuale, persino del terrore verso le proprie sopite pulsioni. E potremmo menzionarne altri ancora, come il timore del buio, del futuro, della morte. Ma mancheremmo il punto. Finiremmo, mi sembra, per elencare solo forme diverse della medesima angoscia, quella che unisce ogni essere razionale: la paura dell’ignoto.
Se questo è vero, allora a contrapporsi all’orrore è sempre la consapevolezza, perché la strana forma sotto il lenzuolo può metterci i brividi soltanto finché non solleviamo le coperte a rivelare il gatto che dorme. È nel momento in cui conosciamo il nostro nemico, che questo cessa di essere tale.
Fuori ha smesso di piovere. Il tempo delle storie è finito, almeno per oggi. Mi accorgo solo adesso che, con la tregua concessa al cielo dalle nubi, anche i lampi hanno battuto in ritirata. Ora sono nella più totale oscurità, e mi chiedo se nelle tenebre non si annidi qualcosa capace di farmi del male. Succede. Con il passare degli anni vi ritroverete soli al buio più spesso di quanto vi auguri, ragazzi. Ma ce la farete, non ho dubbi. A patto che vi ricordiate di accendere la luce.
Membakar – 08/04/2021
Un ringraziamento speciale a Damiano D’Agostino (damians.ndd su Instagram) per la revisione, le consultazioni e – non da ultimo – la disponibilità.

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